La violenza sulle donne secondo Tonio De Nitto
Ha ragione Francesco Niccolini – apprezzato drammaturgo che qui firma traduzione e adattamento – quando scrive che esistono in Shakespeare opere senza tempo e altre che del tempo cominciano a mostrare i segni. Il segreto allora sta nel trovare una chiave giusta che senza forzare la serratura della storia riesca a riportarne in vita la potenza. In chiusura di stagione al Teatro India abbiamo visto La bisbetica domata, il nuovo lavoro di Factory – Compagnia Transadriatica. Il collettivo formato a Lecce nel 2009 da Tonio De Nitto, Paola Leone, Anna Miccolis e Fabio Tinella, abile nell’intercettare la vitalità che ha caratterizzato negli anni recenti il territorio pugliese, ha affiancato produzione e distribuzione alla coproduzione e a progetti di formazione in scuole e strutture penitenziarie, grazie anche al progetto regionale Teatri Abitati, che raccoglie 13 realtà pubbliche e private. Dopo una Cenerentola riscritta in forte mimica e un’estetica quasi à la Bob Wilson, e dopo Romeo e Giulietta, l’ingegnosa versione de La bisbetica domata utilizza una scenografia componibile e un sapiente controllo delle luci. De Nitto dirige un dramma riscritto con finezza, che lascia emergere da sotto il belletto della commedia degli equivoci le cicatrici del presente.
La vicenda del vecchio avido Battista che vincola il matrimonio della pia figlia Bianca a quello dell’altra, l’acida Caterina, diventa qui il pretesto per mettere in scena il male contemporaneo della violenza sulle donne. La prima romana ha risentito di difficoltà tecniche e mostra il bisogno di fluidità in cambi scena forse troppo millimetrici, così come a volte il tono buffo di voci e corpi soffoca, affanna e ritarda la libertà di riflessione dello spettatore. Ma Ippolito Chiarello, circondato da un gruppo affiatato, fa da perno agile creando un ottimo Petruccio, nobile che per soldi sposa Caterina, domata perché ridotta in schiavitù. La loro cupa vita di coppia è ben evidenziata da sequenze in cui dei due, investiti dai controluce, resta visibile solo la sagoma e nell’epilogo della “dimostrazione d’obbedienza” Caterina sarà un automa gonfio di lividi. Che ci fa rabbrividire.