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La bisbetica domata di Factory. Ma a che prezzo?

La compagnia salentina Factory, che aveva già visitato con leggerezza ed ironia contemporanea due capolavori di Shakespeare come “Romeo e Giulietta” e “Sogno di una notte di mezza estate”, oltre a un “must” della fiaba come “Cenerentola”, si cimenta ancora una volta con un'opera del Bardo, scegliendo tra le sue più anomale e curiose.

Si tratta di una commedia, “La bisbetica domata” ("The Taming of the Shrew"), già proposta gustosamente al cinema da Franco Zeffirelli con la coppia Burton-Taylor.


Divisa in cinque atti, scritti sia in versi che in prosa, e proposta in rima da Francesco Niccolini nella versione vista al Teatro India di Roma, ha come centro del plot narrativo la volontà del nobile padovano Battista Minola di trovare uno sposo adatto per la sua figlia più vecchia, la pestifera Caterina, conosciuta da tutti per la scontrosità (e quindi rifiutata da ogni pretendente) in modo da poter sposare la più giovane e accomodante, Bianca, corteggiata invece da parecchi spasimanti, tra cui Gremio ed Ortensio.

La vicenda è presentata agli spettatori seguendo in parallelo il destino delle due ragazze: Caterina verrà domata attraverso una esemplare rieducazione, fatta di privazioni e di scherni feroci dal veronese Petruccio, attratto dalla sua ricca dote; mentre Bianca sposerà Lucenzio, dopo una serie di smascheramenti composti in modo magistrale dal Bardo per mezzo dei tipici meccanismi drammaturgici che contraddistinguono molte delle sue commedie.


Tonio De Nitto propone “La bisbetica domata” immergendola in una sorta di clima fiabesco, in cui la rima e un significante tappeto sonoro ricco e variegato, costruito ad hoc da Paolo Coletta, si divertono a creare una specie di opera buffa, corale, che man mano si trasformerà però in vera e propria tragedia personale dal sapore assai contemporaneo.

Caterina, respinta da tutto il villaggio per il suo carattere fiero ed indomito, così poco accettabile in una donna, deve in qualche modo adeguarsi, vestendo una maschera che forse non le appartiene. Per questo verrà duramente punita, lei, palesemente più genuina e vera, in un mondo composto da finzioni che hanno alla loro base solo le ragioni del mercato; e forse Petruccio, anche se a caro prezzo, le sembrerà il male minore da sopportare.


Bianca (interpretata qui da un uomo, l'ottimo Antonio Guadalupi) dovrà invece adeguarsi ad una monotona routine familiare.

L'atmosfera pastellata di un paese come tanti, impastata di chiacchiericci, beghe, pettegolezzi e persiane fintamente abbassate, modulato su scenografie semoventi che ogni volta creano spazi diversi, si fa pian piano cupa e deserta, ma non così cupa da non farci intravvedere i lividi evidenti sul corpo di Caterina, quando reciterà il suo famoso monologo finale, qui dolorosamente sommesso e straziante.


Una fervida lettura contemporanea, quella operata dal duo De Nitto/Niccolini, dove nel grottesco e ritmato evolversi degli avvenimenti il “Mi voleva tanto bene...”, motivo reso celebre dal Quartetto Cetra, e il “Stai serena” detto da Petruccio a Caterina esprimono benissimo l'humor nero che attraversa questa curiosa versione di Factory dell'opera scespiriana.

Va ancora una volta sottolineato, infine, come la compagnia, pur in un momento poco felice come il nostro, sia composta da attori tutti provenienti da altre compagnie pugliesi (tra cui spiccano Angela De Gaetano, Caterina, ed Ippolito Chiarello, Petruccio), nell’ottica encomiabile di creare un progetto compositivo autonomo, ogni volta diverso ma in qualche modo riconoscibile, sintomo di una ricchezza interpretativa e di una volontà di osare mescolando competenze e valori.

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