FACTORY: LA RAFFINATA RIVOLTA POP DI ROMEO E GIULIETTA
Barberino di Mugello, a mezz’ora di macchina da Firenze. Venerdì sera, gioca la Fiorentina e, sarà un caso, ma nel foyerdel Teatro Comunale Corsini prevale il gentil sesso. A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo, invasione di campo dalla sala: le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi vengono a prenderci, distribuendo saluti e piccole figurine – a mò di pubblicità elettorale – per convincerci a parteggiare per le diverse “squadre”.
Entriamo in una sala che sembra una festa di paese: sul palco, alte strutture movibili di luminarie con bellissime lampadine colorate e intermittenti. Dopo aver intrattenuto ulteriormente e goliardicamente il pubblico, gli attori salgono in scena, sul ritmo di una tarantella. Comincia così questa versione calda e salentina di Romeo e Giulietta. Il pubblico già è conquistato, ma il bello deve ancora arrivare, anzi: man mano che la pièce procede, siamo quasi portati a pensare che l’inizio sia stato un artificio per ottenere la nostra fiducia e condurci nel gioco shakespeariano, seguendo i fili che Tonio De Nitto, regista e Francesco Niccolini, che ha adattato il testo, hanno scelto di far risaltare. Questi fili sono nascosti – neanche tanto – nella trama della storia più conosciuta al mondo. Basta svilupparla, seguendo le indicazioni che Shakespeare ci dà, per farli uscire allo scoperto e brillare, diciamo pure bruciare, sulla scena. L’elemento che più salta all’orecchio, fin da subito, è la rima: Niccolini ha riscritto il testo seguendo una metrica precisa, lineare, quasi obbligata. Tutti la rispettano: i ben sette attori sono validi e molto affiatati, si vede che si divertono, facendo divertire anche noi, e ingranano a pieno ritmo il gioco shakespeariano. Gli unici a uscire fuori di rima sono proprio i due giovani amanti che per comunicare usano un’altro linguaggio, che sfugge al codice normalizzato (seppur poetico) e assuefatto alle logiche di guerra, potere, successione patriarcale, cui la società in cui vivono è sottoposta. Entrambi (all’inizio solo Romeo) indossano delle grosse cuffie da rapper, che ogni tanto mettono su, isolandosi, con i suoni, da chi li vorrebbe ubbidienti, docili, asserviti: infelici. La scelta delle musiche è un altro degli elementi su cui occorre soffermarsi, da Creep dei Radiohead, a Fiesta di Raffaella Carrà, ad Anthony and the Johnsons, I Want to Hold Your Handcantata in falsetto, fino a Il carrozzonenella versione di Tosca, sul finale. De Nitto costruisce una sorta di drammaturgia musicale pop-queer che, da un lato, riporta la storia ai giorni nostri, ma dall’altro rompe quel silenzio normativo e normalizzante imposto dalla maledizione dei padri, proponendo un’altra versione di quest’archetipica storia. In quest’altra versione, Mercuzio è attratto da Romeo, in più parti questa suggestione omoerotica viene accennata, come uno scherzo, senza mai esplodere. Esplode, invece, in tutta la sua dolcezza e carnalità, l’attrazione tra Romeo e Giulietta: grumo attorno al quale ruota tutta la vicenda, che qui torna finalmente – e giustamente – al centro, attraverso la messa in evidenza di dissidi che, nel loro consumarsi, riempiono di senso la scena. Giulietta dovrebbe sposare "uno sconosciuto, protagonista di un corteggiamento muto" e dimenticare il suo amore vivo e vero, che si manifesta fuori dalla trappola della rima, con una bellezza e semplicità disarmante – giusta la scena dei corpi nudi e avvinghiati dei due amanti che fanno andare in corto circuito anche le lampadine delle luminarie in scena. Solo con queste premesse si può cogliere il tragico declino che la commedia subisce: la morte – facciamoci caso – coglie i giovani, coloro che hanno provato a cambiare le granitiche regole imposte dai padri, a invertire la maledizione. Agli occhi di questi ultimi, Giulietta è una puttana, “una cagnetta” che ha disobbedito al volere della famiglia. Da questo punto di vista, Romeo e Giuliettacontiene in nuce ciò che poi De Nitto e Niccolini hanno sviluppato nel successivo La bisbetica domata: una riproposizione apparentemente pedissequa e fedele delle vicende, in cui fa irruzione un sano straniamento, già contenuto, a ben leggere, nel testo. Nonostante le quasi due ore di spettacolo, il pubblico segue col fiato sospeso le vicende dei due giovani amanti come se, invece che a Verona, la storia fosse ambientata nelle strade di Barberino. Quando tutto finisce, il silenzio (tombale) finale è rotto da uno scroscio di applausi. Più che meritati.