HAMELIN VISTO DA ALESSANDRO TOPPI SU HYSTRIO
La resa della favola dei Grimm, che conosciamo. Il tentativo di far comprendere agli adulti quanto sia importante preservare l’infanzia (la propria, l’altrui). La voglia di tirare dentro la scena i bambini, fisicamente, facendogli scoprire così la compartecipazione alla recita e quanto sia importante, in assito, usare l’immaginazione. E una difesa accorata dei teatranti: in Italia ancora considerati alla stregua di guitti accattoni, amatoriali perditempo: «E bravo il nostro attore, che ci ha fatto tanto divertire», «trovati un vero lavoro», «che ci fai ancora qui?». Hamelin di Factory Compagnia Transadriatica è questo e altro. È un esperimento pluridrammaturgico, poiché i ragazzi e i loro genitori ascoltano in cuffia due versioni parzialmente diverse della trama. È un azzardo multilessicale giacché convivono, durante lo spettacolo, il teatro di narrazione, la giocoleria, i burattini, le ombre, il teatro sonoro e la partecipazione spettatoriale diretta. Ed è la conferma di una poetica poiché - anche in questo lavoro - tornano l’uso rinnovato dei classici, un immaginario che a me ricorda i romanzi di Dickens e i film di Tim Burton, l’amore i carillon e la ricerca di una ricezione tout public. Trascinato in scena un carretto che ricorda i giostrai vagabondi e gli scavalcamontagne teatrali del Seicento, Tinella si porta in proscenio: sarà il pifferaio della fiaba, compirà dunque il suo dovere verso la città, verrà imbrogliato e deriso e porterà con sé, per vendetta, nel retro i bambini, facendoli davvero svanire. Finirà bene, per carità: danzeremo tutti assieme. Eppure Hamelin, allo stesso tempo, proprio come le fiabe, consegna anche un avvertimento severo: guai a fare a meno dell’arte. Non resterebbe che il silenzio, o un’adultità priva di fantasia e dunque misera, triste e mortalmente noiosa.
Comments