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HAMELIN visto da Italo Interesse su Quotidiano di Bari


Che fine fecero i centotrenta bambini ‘scomparsi’ nella seconda metà del XIV secolo a Hameln (o Hamelin), una città della Bassa Sassonia? Forse qualche ‘caporale’ venuto da chissà dove li ingaggiò in blocco per deportarli dove c’era bisogno di manodopera infantile. L’esodo in massa, forse perché espressione di una forma di sfruttamento minorile senza precedenti, dovette imprimere una macchia nella coscienza degli abitanti di Hameln. Per sopravvivere alla cattiva nomea, quella popolazione due secoli più tardi avvertì il bisogno di ‘partorire’ la nota leggenda del pifferaio magico : Chiamato a derattizzare l’appestata città, l’insolito personaggio, una volta assolto il compito per il quale  è stato ingaggiato, vedendosi negato il compenso pattuito, si vendica portando via (a suon di piffero, si capisce) i centotrenta innocenti… Sedotto da tanto mistero ed ispirandosi alla versione dei Grimm, Riccardo Spagnulo prova a partecipare tale mistero raccontandolo diversamente. Nasce così ‘Hamelin’, lavoro al quale la regia di Tonio De Nitto assegna modalità espressive di colore composito. L’arrivo del pifferaio (il bravo Fabio Tinella) somiglia a quello del Carro di Tespi, con la differenza che il protagonista, questa figura a metà strada fra il cialtrone e l’incantatore di serpenti, si presenta da solo, spingendo un carretto che con ingegnosa metamorfosi evolve in baracca. E qui lo spettacolo vive il momento migliore: esilarante il tumultuoso, burattinesco confronto fra il Pifferaio e il Capo-Ratto. Nel finale spicca la scomparsa dei bambini: Un sipario alle spalle della baracca si scosta svelando una potente fonte di luce che non consente di capire cosa si nasconde dall’altra parte. I bambini (attinti dalla platea) svaniscono oltre il sipario… L’effetto, inquietante, riporta alla memoria la storia (inventata) che è alla base di ‘Picnic a Hanging Rock’, una pellicola del 1975 diretto da Peter Weir. Nel film, il giorno di San Valentino del 1900 un gruppo di studentesse di un aristocratico collegio femminile a una cinquantina di chilometri da Melbourne si reca per l’annuale picnic ai piedi del gruppo roccioso dell’Hanging Rock. Nel pomeriggio quattro di loro ottengono il permesso di allontanarsi per esaminare più da vicino le formazioni rocciose. Non torneranno più indietro e per quante ricerche fatte in seguito di esse non si troverà più traccia. Come si dice, svanite nel nulla… Né più e né meno che i bambini di Hamelin. Ma nel lavoro di De Nitto e Spagnulo si fa di più poiché viene suggerita – e nelle forme di un sospetto che striscia fra le righe – una lettura ‘altra’ della storia: Nessun maxi-rapimento, nessuna storia torbida, solo il ricordo distorto di rudi riti pagani di iniziazione di ragazzi all’età adulta. Un Pifferaio-sciamano, dunque, o giù di lì’. Riti in qualche modo auspicabili anche per quei ragazzi di oggi cresciuti fra divieti e restrizioni, soffocati da un’overdose d’attenzione famigliare, candidati nel migliore dei casi a ‘evolvere’ in mammoni e bamboccioni. Nell’insieme, un lavoro apprezzabile. Hanno contribuito a vario titolo Paolo Coletta, Sara Bevilacqua, Graziano Giannuzzi, Iole Cilento, Davide Arsenio, Lapi Lou, Michela Marrazzi, Cristina Zanoboni e Luigi Di Giorno.



gi Di Giorno.

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