Mattia e il nonno: il senso della morte a portata di bambino - M.F. GERMANO paneacquaculture.net
MARIA FRANCESCA GERMANO | Come si spiega la morte di una persona cara a un bambino? Come aiutare un nipotino a vivere il lutto per la morte dell’adorato nonno, nella leggerezza che l’età richiede?
Nel tema delicato della morte raccontata a un bambino si snoda lo spettacolo Mattia e il nonno di Factory compagnia transadriatica, tratto dall’omonimo piccolo capolavoro di Roberto Piumini – uno degli autori italiani più stimati della letteratura per l’infanzia – , adattato abilmente da Tonio De Nitto (anche regista) e interpretato da Ippolito Chiarello, in scena a Ruvo di Puglia.
Quando ero bambina era tutto più semplice. La morte di qualcuno apparteneva a tutti, era un fatto collettivo; veniva esposta, mostrata anche ai più piccoli. I riti erano condivisi: i vicini aiutavano a preparare la stanza, qualcuno si occupava della vestizione. Un via vai di parenti, amici, conoscenti; di caffettiere fumanti e panini. Un alternarsi di momenti di commosso silenzio e di brioso vociare. Le donne si vestivano di nero e sgranavano rosari durante la notte. A noi piccini veniva permesso di far tardi, ogni tanto facevamo capolino nella stanza “del morto” e spiavamo il corpo, a volte andando via soffocando qualche risatina per il gusto primigenio che solo le cose proibite sanno restituire. Le persone non morivano immediatamente ma, in questo modo, restavano ancora un po’ con noi, nelle attenzioni, negli aneddoti condivisi e poi vive nei ricordi. È così che piccoli e grandi facevano conoscenza della morte. Un affare semplice e naturale come la vita.
Oggi la morte viene nascosta, la si “vive” quasi con imbarazzo. Ci appelliamo a una forma di riservatezza che ce la rende estranea e troppo dolorosa. Proteggiamo i nostri bambini impedendo loro di attraversare il dolore della perdita e persino di partecipare ai funerali delle persone care. Non sappiamo più gestirla e – usando le parole di Tiziano Terzani – «Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di una altro».
Lo spettacolo Mattia e il nonno si inserisce nell’ambito del festival Il Paese dagli occhi sorpresi, una rassegna – curata dal Teatro Comunale di Ruvo di Puglia, dalla compagnia La Luna nel letto in ATS con il teatro Crest di Taranto – che, in attesa del nuovo teatro comunale in costruzione, anima gli spazi pubblici della città dal 5 al 21 luglio: dalla Pinacoteca Comunale (in cui è stata esposta l’installazione Museum of the Moon dell’artista britannico Luke Jerram), alle masserie nell’agro di Ruvo, alle strade e piazzette del centro storico fino ad antichi portoni.
Ed è proprio in un cortiletto situato al di là di un antico arco cittadino, Arco Melodia, che Ippolito Chiarello porta in scena la storia di Mattia e il nonno davanti a un nutrito gruppo di spettatori, quasi tutti bambini. Mentre i piccoli si accomodano rumorosamente, Chiarello è seduto sugli scalini di pietra vicino alla plancia di regia; ha gli occhi sottolineati dal tratto nero di una matita che gli rendono una tristezza clownesca; muove le mani come in una ginnastica allertante, batte un piede sul marmo, visibilmente agitato.
Quando tutti sono seduti si dirige verso lo spazio della scena e inizia a raccontarci una storia naturalmente semplice. C’è un nonno in fin di vita sdraiato su un letto dalla frangia rossa, «molto pallido e leggero». La famiglia disperata si riunisce attorno al suo capezzale. Tutti piangono tranne il nipotino Mattia. Ha sette anni Mattia ed è incredulo; la morte del nonno non gli sembra davvero probabile. Guarda una mosca camminare sul soffitto, proprio sopra il nonno; sembra in cerca di qualcosa di infinitamente piccolo, qualcosa che forse è caduta sul nonno steso e forse ora gli fa prurito. Se solo sapesse dove, lui lo aiuterebbe a grattarsi. Mentre è distratto da questi pensieri sente la voce del nonno chiamarlo «Mattia!». Nessuno accanto a lui sembra sentire quella voce. «Andiamo a passeggio?».
E così, Ippolito Chiarello, illuminato dal basso a creare una grande ombra leggera sulla parete di pietra dietro di lui, vestito del marrone della terra che sfuma nel celeste del cielo – forse un rimando simbolico all’ultimo viaggio – con levità ci porta nel cuore di una storia che tocca le zone più remote del sensibile. Una narrazione scandita dalla musica avvolgente di Paolo Coletta.
In assenza di immagini costruite e riflesse, grazie alla sola voce dell’attore e, per i lettori di Piumini, aiutati dal ricordo delle illustrazioni dalla intensa commistione di surrealismo e iperrealismo di Quint Buchholz, ci muoviamo con l’immaginazione tra prati verdi, campi di girasole, rivoli d’acqua, mercati e campanili; vediamo nonno e nipote catturare pesci nelle tasche dei pantaloni, rincorrere un cavallo che chiameranno Brigante e decifrare la mappa del tesoro iscritta nelle pieghe dei palmi delle mani. Ci smarriamo dispiaciuti insieme a Mattia nel vedere il nonno rimpicciolirsi sempre di più fino a diventare un granello nei capelli del bambino e sparire definitivamente in un odore di peperone nelle sue narici.
Una scelta coraggiosa, quella di Factory, di mettere in scena un tema tanto delicato tramite un monologo, condotto con poetica leggerezza, che forse, a nostro parere, avrebbe bisogno di essere arricchito da pochi altri piccoli espedienti scenico-sonori e vocali, in grado di catturare del tutto le ultime distrazioni e resistenze dei più piccoli. Anche se, a onor del vero, è stato fatto un piccolo miracolo in una location che ha offerto ogni genere di distrazione sonora e ha visto la presenza di bambini troppo piccoli. Ricordiamo che lo spettacolo è adatto a un pubblico dai sette anni in su.
Nel cuore del racconto – cuore anche del messaggio pedagogico e drammaturgico – Mattia vede sulla corteccia di un albero qualcosa che sembra una cavalletta, ferma e trasparente. «Nonno, cos’è quella cosa sul tronco?». «È un’esuvia. La scorza di una cavalletta». Quello che resta quando la cavalletta cresce, la pelle vecchia. Per Mattia “un ricordo di insetto”.
Ed è solo l’esuvia del nonno che Mattia, tornato a casa, ritroverà sul letto dalla frangia rossa. La sua essenza, la sua voce, il ricordo vivo dei loro momenti belli sono altrove, custoditi intatti in un piccolo cuore scenicamente illuminato a intermittenza nel finale del toccante racconto che attendiamo impazienti di rivedere a teatro.
Comments